E me ne stacco sempre/ Straniero

San GimignanoRacconto fattomi da persona che conosco da anni;

“Ero bambino, età prescolare e primi anni delle elementari, queste alcune frasi: “come è/sei alto”, “come è/sei educato”, “come è/sei bravo a scuola”; mia madre mi ha poi sempre raccontato che alla nascita ero bruttissimo, salvo riprendermi (temporaneamente) quando ho iniziato a nutrirmi con il latte artificiale.”

Nei giochi un po’ goffo, almeno a calcio (e che altro si giocava all’epoca?), imparato ad andare in bici a 7 anni.

La mamma piange, il primo giorno di scuola, forse anche il bambino che, per certo, avrà avuto una bella ansia: qualche difficoltà con la calligrafia ma a scuola diventerà assai bravo e prediletto della maestra (e non solo di quella).

A quell’epoca il bambino propende per investire sul pensiero (almeno quello che serve per andare bene a scuola), abbandonando a se stesso un corpo ritenuto sgraziato e goffo.

Inizia a cercare di primeggiare tra i compagni e ad essere manipolatore (vorrebbe esserlo, fortunatamente senza riuscirci troppo), quasi nutrisse un pensiero del tipo: “poiché sono brutto, imbranato… allora…”, insomma serve qualcosa di speciale per uscire dall’ombra ed essere notati, cioè amati.

Competition is competition e quindi meglio non rischiare: se non vi sono concorrenti, non si rischia di essere scalzati.

La ricerca dell’amore perdura ad oggi (ed ecco il reverenziale timore dell’autorità, anche quando contestata od odiata) con danni di non poco conto e continua ricerca di approvazione con terrore dei rimproveri, errori, fallimenti che mettono in pericolo la certezza dell’amore.

L’idea di primeggiare anche (con la forma reattiva della modestia, la scelta sempre dell’ultimo posto, lo stare defilati), forse come forma di compensazione: se sarò bravo, il migliore la gente continuerà a parlar bene di me, continuerà a dire “come sei/è bravo”.

Tanta coscienza. non manca mai.

Pensando a questo caso ho commesso un lapsus che, al momento, non mi è chiaro ma che spero porti frutto; ordunque mi veniva in mente una citazione poetica “e così la coscienza ci fa tutti vili” che associavo a Manzoni.

Lapsus perchè la citazione è tratta dal mio amatissimo Shakespeare, dal celeberrimo monologo che ha l’incipit più famoso al mondo “essere o non essere…” e non da Manzoni, pensando al quale mi vengono i famosi cori tratti dall'”Adelchi”,  “dagli atri muscosi…” e “sparsa le trecce candide…”.

Parto dal primo, anzi dal suo finale:

“Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.”

Il secondo;

“Te, dalla rea progenie

Degli oppressor discesa,

Cui fu prodezza il numero,

Cui fu ragion l’offesa,

E dritto il sangue, e gloria

Il non aver pietà,

Te collocò la provida

Sventura in fra gli oppressi:

Muori compianta e placida;

Scendi a dormir con essi:

Alle incolpate ceneri

Nessuno insulterà.”

Il senso di sconfitta, di morte come raggiungimento della pace ovvero fine di una sofferenza ineliminabile in altro modo, pervade questi due lacerti; quale legame col mio adorato Hamlet?

Cosa il mio pensiero, affaticato, stanco come spessissimo mi accade in questo periodo, mi offre con questo scambio di autori?

C’è una certa propensione per l’idea di sconfitta (ma sconfitta da parte di chi? quale guerra si combatte? quali gli eserciti si fronteggiano? ritorna il Manzoni de “Il Conte di Carmagnola”: “s’ode a destra uno squillo di tromba, da sinistra risponde uno squillo…”

So bene che Amleto non è personaggio positivo eppure lo trovo affascinante, assolutamente irresistibile, una bellezza che non riesco a neutralizzare nonostante mi accorga chiaramente che è tutta scena

Forse il tratto comune è proprio questo: il teatro, la poesia: tutto recitazione e pubblico plaudente, per chissà quale “introspezione”.

Il genio, colui che sa o sente, che prova sentimenti ad altri asseritamente preclusi.

Mi viene da concludere pensando alla vita come teatro, in cui tutto è spettacolo (tragico), ma l’artista è virtuoso solo nella misura in cui interpreta i personaggi in vista di un guadagno (fosse solo il costo del biglietto); al contrario se il movente è l’esibizione, narcisistica, si ritorna nei “complimenti” dell’età scolare cui faceva cenno la persona all’inizio.

Mi accorgo di avere un pensiero barocco e di vivere nell’inganno di cercare “un paese innocente”: non ci sono paesi da cercare (nè realtà da fuggire).

Ungaretti, altro poeta che adoro (ancora un poeta):

In nessuna
Parte
Di terra
Mi posso
Accasare

A ogni
Nuovo
Clima
Che incontro
Mi trovo
Languente
Che
Una volta
Già gli ero stato
Assuefatto

E me ne stacco sempre
Straniero

Nascendo
Tornato da epoche troppo
Vissute

Godere un solo
Minuto di vita
Iniziale
Cerco un paese
Innocente”

Non si tratta di vivere come girovago ma di bonificare il proprio Zuiderzee.

Quando Ungaretti scriveva queste parole:

Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro

Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto

Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore
Il paese più straziato”

aveva di fronte distruzione e morte, viveva nel deserto.

Voglio sperare che sia possibile non sentirmi più straniero, che finalmente cessino le croci che non hanno motivo di esserci.

Opera di civiltà

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